lunedì 27 giugno 2016

CULT classico - L'amore è una cosa meravigliosa di Henry King, melodramma hollywoodiano che parte in maniera interessante e "trasgressiva" ma che via via si affossa sulle convenzioni e sugli stereotipi. Recitazione enfatica (di Jennifer Jones), dialoghi zuccherosi e imbarazzanti. Famosissima la canzone (e tema portante)

Oggi vi voglio parlare di un film di molti anni fa. Un vero classicone, con due star protagoniste.
Mi riferisco a L'amore è una cosa meravigliosa di Henry King.
Ecco la recensione:





L'amore è una cosa meravigliosa (Love is a Many-Splendored Thing) di Henry King del 1955. Con William Holden, Jennifer Jones, Torin Thatcher, Isobel Elsom, Richard Loo. (102 min. ca.)
Anni '50, Hong Kong. Han Suyin (Jones) è una dottoressa anglo-cinese che si è ripromessa di non innamorarsi più e di dedicarsi soltanto al lavoro da quando è rimasta vedova. Mark Elliott (Holden) è un giornalista corrispondente americano sposato (anche se il rapporto con la moglie è in crisi). Si innamorano e decidono di sposarsi, ma la famiglia di lei sembra contraria e la moglie di Mark rifiuta di concedergli il divorzio. Loro continuano imperterriti a frequentarsi accontentandosi di quei pochi momenti. La tragedia è dietro l'angolo. 















Melodrammone sentimentale classico hollywoodiano con due star scelte tra le varie proposte della 20th Century Fox. 
Già nei titoli di testa si può sentire il famosissimo tema portante composto da Alfred Newman (mentre nei titoli di coda si sente la canzone vera e propria - dal titolo omonimo del film in lingua originale - scritta da Paul Francis Webster e da Sammy Fain). 
Se all'inizio la vicenda coinvolge, cattura e affascina per l'ambientazione (ottime le scenografie) e per alcune scene realmente azzeccate e intriganti (quella in spiaggia di sera, con William Holden che avvicina la sua sigaretta a quella della Jones per accendergliela ed è come se si baciassero), se può apparire provocatorio e in qualche modo trasgressivo (con tutte le virgolette del caso) e pepato per il modo in cui i personaggi parlano con naturalezza di relazioni extraconiugali (soprattutto la vecchia amica di lei), dopo una cinquantina di minuti lo spettatore capisce che in realtà l'opera si appoggia sugli stereotipi e convenzioni veramente irritanti. 
Suyin diventa sempre più svenevole nel momento in cui ammette di essere innamorata e abbassa le difese. E Jennifer Jones accentua questo difetto (anzi, cliché) con una recitazione enfatica, affettata. William Holden mantiene invece il suo solito aplomb, ma lo tradiscono le battute stucchevoli (la sua voce fuori campo è la ciliegina sulla torta). 
I dialoghi sono telefonatissimi, imbarazzanti addirittura. La regia fa il suo dovere, si adegua. La fotografia dona quel tocco di suggestione, ma è tutto il resto a non funzionare (se non forse all'epoca della sua uscita). 
L'epilogo, per quanto non felice, rimarca ancora una volta i difetti di cui sopra, con una Jennifer Jones trasognata ed involontariamente ridicola. 
Un film irritante, un polpettone indigesto, un cult nel suo genere (vincitore di tre Oscar tra l'altro). Eppure, ancora una volta, il cinema di Douglas Sirk (per quante disgrazie e cliché usasse) era un'altra cosa. Qui manca l'eleganza, la vera ricerca, lo stile d'autore che piace alle massaie che guardano le soap opera ma che accontenta anche i critici. 
Da vedere per curiosità. 


Voto: **1/2






Il trailer: 







Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?










  

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