mercoledì 4 febbraio 2015

Il cavallo di Torino di Béla Tarr, ultimo lavoro del regista di culto ungherese. Pellicola cupa e catastrofica con lenti piani sequenza e bianco e nero perfetto. Dolente nel raccontare le azioni reiterate per arrivare ad un finale senza speranza

Oggi vi voglio parlare di un film recente interessante per tematica, atmosfere e regia premiato con l'Orso d'Argento al Festival di Berlino.
Mi riferisco a Il cavallo di Torino, l'ultima opera di Béla Tarr.
Ecco la recensione:





Il cavallo di Torino (A torinói ló) di Béla Tarr del 2011. Con János Derzsi, Erika Bók, Mihály Kormos, Volker Spengler. (149 min. ca.)
Ispirato ad un episodio della vita di Friedrich Nietzsche, racconta i sei giorni della vita di un vetturino di mezza età che vive insieme alla figlia in una casa di pietra e porte di legno sottilissime in un posto sperduto e desolato. Ha un cavallo ormai in fin di vita che non si muove neanche con le frustate. La figlia lo aiuta a vestirsi dato che ha un braccio paralizzato, si impegna nelle faccende di casa, va al pozzo a prendere l'acqua e come pasto prepara solo due patate bollite. Intanto inizia a soffiare un vento fortissimo. Arrivano gli zingari che per un attimo scuotono i due dalla monotonia. È solo un attimo. Anche la decisione dell'uomo di partire (con la figlia che traina carretto e cavallo) quando il pozzo improvvisamente rimane senz'acqua non va a buon fine. Rimarranno lì, a mangiare patate crude, nell'improvviso buio e ad aspettare...













Pellicola cupa, catastrofica, con bellissimi e lentissimi piani sequenza che si addentrano nella vita dei poveri protagonisti e li segue nella ripetitività delle azioni giornaliere cogliendo anche i momenti morti. 
Bellissimo bianco e nero con fotografia che sfrutta la luce naturale, regia sopraffina, per un film ancora di più facile fruizione di altre opere del regista (per quanto possa risultare ostica la lentezza - più che mai funzionale alla storia, per rappresentare il passare del tempo con gesti reiterati, la routine sfiancante - e la lunghezza). 
Musiche minimali alla Philip Glass, davvero ossessive. 
La ragazza Erika Bók è la famosa bambina che tortura il gatto in Satantango*. 
Da vedere. Consigliatissimo.


Voto: ***1/2/****






Il trailer:







Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?












Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata

Nessun commento:

Posta un commento