venerdì 28 febbraio 2014

Red, fummettone spy/action divertente e con un cast di prim'ordine

Come ultimo appuntamento settimanale, oggi vorrei proporvi un film leggere tutto basato su azione, sparatorie, gag che però mi ha molto divertito (in fondo a volte ci vogliono anche queste cose, no?).
Si tratta di Red, tratto dal fumetto di Warren Ellis ed illustrato da Cully Hamner.
Eccovi la recensione:




Red di Robert Schwentke del 2010. Con Bruce Willis, John Malkovich, Mary-Louise Parker, Morgan Freeman, Helen Mirren, Karl Urban, Brian Cox, Richard Dreyfuss, Julian McMahon, Rebecca Pidgeon, Ernest Borgnine, Richard Dreyfuss. (111 min. ca.)
Tratto dall'omonimo fumetto (anzi, graphic novel) scritto da Warren Ellis e illustrato da Cully Hamner, è un giocattolone divertente di azione/spy, pieno di situazioni estreme, di sparatorie, mosse ben assestate, ma anche intriso di ironia e per niente pesante. 
Le esagerazioni visive (realizzate benissimo), l'invincibilità dei protagonisti (Bruce Willis è Frank, ex agente della CIA che viene ripreso di mira per cose accadute in passato) e tutta la finzione di contorno non danno fastidio perché si entra subito nello spirito della pellicola.


Il cast fenomenale e ricchissimo di nomi importanti fa il resto. 
A parte Bruce Willis, ormai più che abituato a certi ruoli, l'aver coinvolto attori quali Helen Mirren e John Malkovich (nonché il piccolo cameo di Ernest Borgnine) in ruoli non convenzionali per loro, ha fatto sicuramente la differenza. La Mirren così elegante e spietata è fantastica. Ma parliamo anche di Mary-Louise Parker: attrice bravissima, carismatica e sottovalutata che in questo film sembra perfino ringiovanita e riesce a tenere testa agli altri ed è forse il personaggio più simpatico.
Gli altri fanno il loro dovere: Morgan Freeman fa sempre la sua figura. Sfiziosi i camei di Borgnine e Dreyfuss (irriconoscibile con barbetta bianca e pelato).



Davvero carino per una serata divano e pop corn. Leggero e disimpegnato. Da vedere.


Voto: **1/2/***








Il trailer:
 


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giovedì 27 febbraio 2014

Il Dubbio, film del 2008 sincero e diretto magnificamente, con Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman e la diva del momento (di questo ultimo annetto e mezzo circa) Amy Adams

Il film che vi voglio presentare oggi mi ha colpito per la sua asciuttezza, per essere piacevole e mai banale (ha dei dialoghi fantastici) e per le interpretazioni eccezionali di Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman in particolare. Sto parlando de Il Dubbio di John Patrick Shanley.
Ecco la mia recensione (stringata a dire il vero):




Il Dubbio (Doubt) di John Patrick Shanley del 2008. Con Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Viola Davis. (104 min. ca.)
Film scritto e diretto da Shanley (sua anche l'opera teatrale da cui è tratto, vincitrice del Premio Pulitzer nel 2005) che racconta la vicenda di Padre Brendan Flynn (Hoffman), che negli anni '60 lavora in una scuola di New York sotto la presidenza di Sorella Aloysius Beauvier (Streep). Quando Sorella James (Adams) comincia a credere che il rapporto tra il sacerdote e un ragazzino di colore si sia spinto un po' oltre e lo fa presente alla preside si scatenerà una piccola guerra tra questa e Padre Flynn per l'appunto. Il dubbio sulla colpevolezza o meno, anche se verranno presi provvedimenti, rimarrà. 



Pellicola asciutta, scritta benissimo e che, pur essendo romanzata fa riflettere (quanto noi possiamo essere sicuri di conoscere le persone che accusiamo? Quanto l'altro può fingere di essere innocente?). Recitata altrettanto bene da tutti, ci si trova davanti ad un'opera che è proprio giocata sulla recitazione. Non potevano fare meglio né Maryl Streep (particolarmente apprezzabile qui perché non ha potuto sfoggiare la sua mimica a volte esagerata e la sua recitazione a volte sopra le righe. Sicura, in parte, davvero notevole) né Philip Seymour Hoffman con il suo personaggio ambiguo (come in parte quello della Streep. Ruoli davvero difficilissimi), né Amy Adams, giovane insegnante buona d'animo che cerca comunque di essere giusta. Da menzionare anche Viola Davis (vista e apprezzata in The Help, tra gli altri film). C'è anche Carrie Preston (la Tascioni della serie legal drama TheGood Wife in una minuscola parte). 




Il regista, dato che ha avuto carta bianca facendo tutto lui (e che per i motivi di cui sopra conosceva l'opera come le sue tasche), si è dimostrato sincero (senza il minimo di malizia e senza usare espedienti furbi per colpire il pubblico), diretto al dunque, per niente prolisso. I dialoghi poi sono perfetti, senza sbavature e recitati con compostezza; la regia appunto di polso (ci sono anche dei momenti di pungente ironia). Questa sincerità di intenti e la sobrietà sono altre due qualità che fanno funzionare il film (ma anche gli ambienti suggestivi fanno il loro dovere). 
Da vedere assolutamente.


Voto: ****(1/2)

 







Il trailer:



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mercoledì 26 febbraio 2014

L'amore secondo Dan, commedia romantica leggera leggera con Steve Carrell e Juliette Binoche

Oggi voglio parlarvi di un film molto leggero, forse anche troppo banale per certi versi: L'amore secondo Dan, commedia sentimentale/romantica per famiglie.
Eccovi la recensione:




L'amore secondo Dan (Dan In Real Life) di Peter Hedges del 2007. Con Steve Carell, Juliette Binoche, Dane Cook, Emily Blunt, Alison Pill, Dianne Wiest, John Mahoney, Norbert Leo Butz, Amy Ryan. (97 min. ca.)
Film che racconta la storia di Dan (Carrell), giornalista e scrittore, vedovo da quattro anni e padre apprensivo di tre ragazze (arriva perfino a spiare o ad intromettersi nella relazione di sua figlia adolescente), il quale, passando le vacanze dai suoi, incontrerà in una libreria della zona la carismatica e affascinante Marie (Binoche). (Scena che ricorda la famosa pellicola Innamorarsi del 1984 di Ulu Grosbard con Robert De Niro e Meryl Streep). Sarà colpo di fulmine (reciproco), contro le sue idee riguardo l'amore. Peccato sia la fidanzata di suo fratello minore. Nasceranno equivoci e incomprensioni. 


Commedia sentimentale leggera leggera costruita a tavolino per intrattenere. A differenza di altri film simili però, qui il garbo e la misura rimangono sempre bilanciati, non si trascende in volgarità o in espedienti grossolani. Ci sono anzi due o tre scene molto simpatiche (Steve Carrell che durante una cena, disperato nel dover rimanere a guardare le moine di suo fratello con Marie, mette prima la testa nel frigo, poi prende la torta da servire e fa per colpirla con il coltello... ma ci sono tutti i bambini della famiglia seduti davanti alla tavola predisposta per loro a guardarlo. Oppure quando lui e Marie si ritrovano sotto la doccia: lei quasi nuda, lui vestito). 


Ovviamente c'è l'happy end. Ma anche quello viene servito con una certa finezza e in un modo quasi anticonvenzionale. Non ci sono grandi baci o scene di sesso. 
E' proprio una pellicola per famiglie alla mariera classica, buonista, con i parenti alle spalle sempre pronti a capirti e a perdonarti (e ciò può essere visto, a seconda dei gusti o del momento in cui la si guarda, come un difetto. Plausibilissimo). 


Steve Carrell si è rivelato molto bravo e riesce a sfoggiare una gamma emozionale che non ti aspetteresti da un comico; Juliette Binoche è incantevole come al solito (anche se in certi momenti è un po' stucchevole): la sua bellezza non sfacciata è proprio adatta al suo personaggio. Da menzionare anche i meravigliosi Dianne Wiest e John Mahoney nei panni dei genitori. 
Sceneggiatura davvero buona per un film di genere e del genere con dialoghi semplici ma azzeccati. La regia è un po' anonima ma rende. Bella la colonna sonora originale scritta dal cantautore norvegese Sondre Lerche. Un film carino da vedere quando si vuole qualcosa easy e senza impegno.
 

Voto: **1/2 (per il garbo)






Il trailer:



Scene simpatiche:




Uno dei brani più carini della colonna sonora (titoli di coda):



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martedì 25 febbraio 2014

Gone Baby Gone, opera prima da regista (riuscita in parte) dell'attore Ben Affleck

Oggi voglio parlarvi di un film che mi ha deluso. Tutti o quasi ne parlavano bene, altri hanno gridato al capolavoro. Io l'ho trovato scialbo, quasi un telefilm.
Mi sto riferendo all'opera prima di Ben Affleck - attore insipido e sceneggiatore - passato dietro la macchina da presa.
Per conoscere la mia opinione, eccovi la recensione:




Gone Baby Gone di Ben Affleck del 2007. Con Casey Affleck, Michelle Monaghan, Morgan Freeman, Ed Harris, Amy Ryan, Robert Wahlberg, John Ashton, Amy Madigan, Michael K. Williams. (114 min. ca.)
Film thriller basato sul romanzo La casa buia (Gone, Baby, Gone) di Dennis Lehane (già autore di Mystic River portato sul grande schermo da Clint Eastwood) che racconta la sparizione della piccola Amanda McCready, di quattro anni, che vive a Boston con la madre drogata e alcolizzata. Gli zii assumono due investigatori (Affleck e la Monaghan) - partner e fidanzati - per ritrovare la nipotina. Quello che sembra un rapimento per questioni prima di una chiusura di conti per soldi legati alla droga (quindi la colpa viene data alla madre negligente) e poi di un giro di pedofilia di persone vicine agli spacciatori, viene poi scoperto essere un inganno con coinvolgimento degli stessi poliziotti che stanno indagando sul caso. Agghiacciante ritratto di una città corrotta, con la polizia che non si rende conto di sbagliare ma anzi, si convince che siano perfino giuste quelle azioni (sempre per un tornaconto). 



Prima pellicola da regista di Ben Affleck (sicuramente più bravo dietro la macchina da presa che come attore), realizzata con toni documentaristici (a volte anche troppo sotto le righe da sembrare un espisodio di una serie televisiva) ed espedienti narrativi che assomigliano al sopracitato Eastwood. Il risultato non è male ma neanche del tutto riuscito.
I protagonisti non fanno in modo di farsi amare o quantomeno lo spettatore non partecipa totalmente ai loro drammi e conflitti interiori: tutto sembra raccontato troppo superficialmente, le loro reazioni sembrano finte, non reali (e ciò spiazza per quel senso di realismo dato dalla regia e dal montaggio asciutto), i loro problemi personali sono troppo telefonati e sbrigativi per sembrare veri e loro sembrano bidimensionali e piatti. 
Dalla sua però ha anche molti pregi: il non giudicare apertamente i personaggi. 
Prendiamo la madre (un'ottima Amy Ryan, davvero in parte e forse la migliore del gruppo di attori insieme ad Ed Harris. Ha avuto anche una nomination all'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista per questo ruolo. E' riuscita ad essere credibile recitando con un accento che non le appartiene essendo lei newyorkese): ha sbagliato a lasciare da sola sua figlia e alla fine, dopo tutto quello che è accaduto, ripete lo stesso errore. In questo caso ci viene fatto vedere che effettivamente è vero quello che diceva la detective e cioè che le persone non cambiano. Però in tutte le parti in cui compare Helene, viene raccontata per quello che è, né più né meno. 



E' un bel modo di narrare, che però cozza con alcune trovate troppo da romanzo e dialoghi piuttosto assurdi. Forse è la sceneggiatura dello stesso Affleck il punto debole film (paradossalmente, dato che nel 1997 aveva vinto un Oscar insieme all'amico Matt Damon proprio un Oscar per la Migliore Sceneggiatura di Will Hunting), sembra avere delle lacune. 
Il film scorre benissimo, non è per niente pesante ma lascia dei punti interrogativi. C'è qualcosa che non funziona, si sente, ma non si capisce cosa sia. (Curiosità: sia la Ryan che Michael K. Williams avevano preso parte alla serie tv The Wire, anche quella molto realistica, molto ancorata alla realtà, un vero proprio cult e un capolavoro. La sequenza iniziale potrebbe ricordarla per come ci viene presentata la città con la sua feccia e i suoi problemi). Comunque, per essere un'opera prima è sicuramente interessante, soprattutto per la tematica affrontata (ma è molto molto meglio "Argo"). Da vedere per curiosità.

Voto: **1/2








Il trailer:

 


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lunedì 24 febbraio 2014

Il Grande Gatsby, il ridondante film di Baz Luhrmann tratto dal romanzo di Francis Scott Fitzgerald

Buon inizio di settimana!
Oggi vi voglio proporre un film piuttosto recente (del 2013) che mi ha deluso (anche se me l'aspettavo): Il Grande Gatsby di Baz Luhrman.
Nient'altro da aggiungere. La mia recensione parla chiaro (forse anche troppo stavolta).




Il Grande Gatsby (The Great Gatsby) di Baz Luhrmann del 2013. Con Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton. (143 min. ca.)
Film tratto dal romanzo omonimo di Francis Scott Fitzgerald e liberamente ispirato dal film del 1974 di Jack Clayton. Partendo dal presupposto che Baz Lurhmann è sempre ridondante ed esagerato, qui veramente è andato oltre. Insomma, ci si deve aspettare questo ma non è detto che alla fin fine funzioni. Visivamente ha un impatto impressionante (da lodare il dispendio di effetti speciali, la fotografia, i costumi, le scenografie, tutti i particolari perfetti: perfino Gatsby da bambino uguale a Di Caprio) ma anche eccessivo e troppo fastoso. Guardandolo a posteriori le bellissime feste di Gatsby assomigliano più alla festa iniziale de "La grande bellezza" di Sorrentino (guarda caso il titolo simile) e forse in questo c'è anche una critica alla società dell'epoca. Però tutto viene sbattuto in faccia allo spettatore. Tutto, anche la storia non ha un centesimo della classe e del mistero che aveva il film di Clayton (né del libro ovviamente) e viene troppo semplificata (mentre anche il libro era piuttosto intricato) per renderla forse più accessibile (in effetti il film del '74 è anche troppo criptico e un po' freddino). Tutta quella ridondanza di immagini è fine a se stessa. Fantastico, davvero impeccabile, ma poi? 



Anche il cast: Leonardo Di Caprio bravissimo come al solito, per carità; Carey Mulligan sempre molto carina ed espressiva, va bene. Ma anche lì: esiste un solo Gatsby e cioè Robert Redford. Quando appariva sullo schermo sembrava uscire dal libro. Era esattamente come veniva descritto da Fitzgerald. Qui Di Caprio invece, per quanto sia un bell'uomo, non ha quel carisma, quel portamento, quell'eleganza, quel fascino di Redford. Anzi, l'ho trovato a volte ridicolmente impacciato, imbolsito. La stessa Mulligan non è Daisy. Daisy è solamente Mia Farrow: fragile, sensibile, manipolabile e svampita: Carey Mulligan è molto dolce, ha un aspetto innocente, ma non è quel personaggio. Vogliamo parlare poi di Tobey Maguire? Sempre in mezzo ai piedi con quel sorrisetto e quello sguardo indagatore (Sam Waterson era un'altra cosa).

 (Carey Mulligan)

(Mia Farrow)


Si riprende verso la fine, ma comunque non riesce ad essere convincente.
Ripeto, non dico che il film del '74 fosse un capolavoro. Non lo era. Prolisso, confuso, freddo i difetti più evidenti. Ma almeno il cast era all'altezza dei personaggi del libro (da menzionare anche Karen Black che interpretava Myrtle). 


 (Sam Waterson)

(Karen Black)

Poi anche la musica moderna con inserti jazz. Ma perché? Perché non lasciare almeno quella suggestione specifica? (Forse va un po' meglio con l'eterea e suggestiva Young And Beautiful di Lana Del Ray, ma gli altri pezzi proprio sono intollerabili).
Io non disprezzo lo stile di Luhrmann nel rileggere varie epoche e riportarle ai giorni nostri modernizzate (l'ho davvero stimato per Romeo + Giulietta. E non quando ero una ragazzina infatuata di Di Caprio ma ultimamente. Lo stesso vale per Moulin Rouge!. Ridondante ma dal cast perfetto. Esagerato ma ci stava. Non ho visto Australia però non penso di essermi persa niente), ma in questo caso si è lasciato prendere la mano, ha perso di vista l'obiettivo. Come in molti hanno notato, sembra un grande videoclip. Peccato, perché se solo avesse abbassato il profilo e fosse stato un po' più modesto, il risultato sarebbe stato differente. Da vedere per curiosità e perché effettivamente l'impegno c'è, nient'altro.


 Voto: **1/2 (per l'impegno potrei anche arrivare a ***, ma non ce la faccio)









Ecco il trailer del film di Luhrmann:



E il trailer del film di Clayton:




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venerdì 21 febbraio 2014

Il Grinta (True Gift) dei Fratelli Coen, remake (o quasi) del film del 1969 con John Wayne e adattamento del romanzo di Charles Portin. Western godibile, spassoso e ottimamente recitato

Il film che vi voglio proporre come ultimo appuntamento di questa settimana con il mio blog è un western molto riuscito: Il Grinta dei Fratelli Coen. 
Non mi dilungherò in premesse perché tutto quello che dovete sapere (o quasi) c'è scritto nella recensione.

Eccola: 



Il Grinta (True Gift) di Joel ed Ethan Coen del 2010. Con Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin. (110 min. ca.)
Tratto dal romanzo di Charles Portis già portato sul grande schermo da Henry Hathaway con John Wayne [non avendo visto il primo - se non qualche scena - non posso fare paragoni (avevo guardato per forza di cose il sequel, Torna El Grinta, nel quale Wayne era accompagnato da Katharine Hepburn)], è un film western che racconta la storia di Mattie Ross (Steinfeld), la quale vuole vendicare l'uccisione di suo padre da parte del fuorilegge Tom Chaney. Per riuscire a trovarlo e portarlo a casa per farlo impiccare assolda uno dei più temibili sceriffi: Rooster Cogburn (ma anche uno dei più ubriaconi e per di più cieco da un occhio) (Bridges). Verranno aiutati anche dal Texas Ranger LaBoeuf (Damon). Insieme riusciranno a districarsi da mille intralci. Non tutto andrà per il meglio, ma il padre della quattordicenne verrà vendicato in un modo o nell'altro. 



Bella pellicola dall'impianto classico ma che si libera da quei fronzoli (e lungaggini) tipici del genere: ha una freschezza percepibile fin dai primi minuti. L'incipit è appassionante e fa entrare subito nella storia e parteggiare per la giovane Mattie.
Se la regia dei Coen è come al solito impeccabile, la fotografia non ne parliamo, la sceneggiatura idem, chi colpisce veramente (all'istante) è Hailee Steinfeld, di una bravura e di un'espressività incredibili. Il modo in cui pronuncia le battute, le azioni che compie e soprattutto come le compie sono da far sbiancare anche le attrici più "anziane" e con molta più esperienza di lei: una scoperta. (Avrebbe dovuto essere nominata agli Oscar come Migliore Attrice Protagonista- e magari vincerlo -, non essere nominata come Miglior Attrice Non Protagonista: è lei il personaggio principale!) Quasi oscura (anzi, senza il "quasi") l'inappuntabile Jeff Bridges che sfoggia un'andatura alla Drugo, ma ancora più trasandato se possibile (non fosse altro per la parlata), - offre una versione alternativa, nonché un'altra chiave di lettura del personaggio -, anche lui divertente e in parte. Bravo - anche se compare poco tempo - Matt Damon (forse sono influenzata anche da come è vestito e dai baffoni che porta, dato che solitamente lo trovo alquanto scialbo). Simpatica la presentazione del suo LaBoeuf (e i realativi battibecchi con Mattie).
 


Non sarà forse il più bello dei Coen per un sacco di fattori. Ne menzionerò due. 
Il primo: è un remake (più o meno). Un remake di un film con un attore simbolo e un regista capace che ha fatto la storia. 
Il secondo: proprio perché tratto da un libro e visto che deve ovviamente seguire un certo schema, i Coen non possono sfoggiare più di tanto le loro bizzarrie e il loro genio (pur avendo dei dialoghi molto veloci, taglienti, molto simpatici). 
Resta comunque un film godibilissimo e per nulla noioso e prolisso (uno dei difetti che in molti riscontrano, compresa la sottoscritta, riguardo al genere westerrn) che si fa ricordare. Da vedere assolutamente.


Voto: ****/****1/2




 



 Il trailer:



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