mercoledì 19 febbraio 2014

Jack Goes Boating: prima e ultima opera da regista di Philip Seymour Hoffman

Continuando con Philip Seymour Hoffman, oggi vi voglio parlare di un film particolare, la sua prima e ultima (purtroppo) regia: Jack Goes Boating.
Commedia sentimentale triste che, nonostante possa sembrare fin troppo semplice, ha un sottotesto serio.
Ma vi spiegherò meglio nella recensione (attenzione agli SPOILER):




Jack Goes Boating di Philip Seymour Hoffman del 2010. Con Philip Seymour Hoffman, Amy Ryan, John Ortiz, Daphne Rubin-Vega. 
Tratto dalla piéce teatrale di Robert Glaudini - sua anche la sceneggiatura - (la commedia era stata messa in scena dagli stessi attori, tranne Amy Ryan), è un film sentimentale agrodolce. 
Jack (Hoffman) è un autista di limousine impacciato, "finto rasta", goffo, timido, insicuro; Connie (Ryan) è stramba, fragilissima, parla come un automa, è terrorizzata da tutto, detesta il contatto fisico se non approvato (non riesce a capire le intenzioni della gente) ed è insicura anche lei al limite del patologico e del paranoico (bipolare, sindrome di personalità evitante?). Tutti e due non riescono ad avere rapporti sociali ma altresì hanno un bisogno estremo di amare e di essere amati, di trovare qualcuno che li comprenda nelle loro bizzarrie e che non li tradisca. Due amici li fanno incontrare e innamorare e paradossalmente sono loro a lasciarsi. 
Grandi verità sui rapporti di coppia vengono ci vengono raccontati. 
Purtroppo in alcuni momenti il montaggio non è dei migliori: certe scene appaiono scollegate tra loro, causando un effetto di straniamento. I dialoghi sono piuttosto surreali, la pellicola è nello stile tipicamente indie (a ben vedere c'è un po' di Wes Anderson – anche per la colonna sonora - e di Michel Gondry) e forse ancora più grezzo; inoltre in certi casi la provenienza teatrale si sente tutta. Ma non è un male. 


Philip Seymour Hoffman ci regala un'altra interpretazione indimenticabile: il suo Jack con il fiato corto e la tossetta nervosa è perfetto (Hoffman invece disse che forse aveva esagerato nel manierismo e alcune cose erano forzate, viste col senno di poi); Amy Ryan riesce a creare un personaggio difficilissimo con una facilità incredibile. Ortiz e la Rubin-Vega sono nella parte, bravi, ma ovviamente i protagonisti sono altri. 


Ci sono poi molte scene toccanti, tre su tutte: Jack che va a trovare Connie in ospedale dopo un'aggressione (perché è proprio vero che i timidi, gli insicuri e bizzarri si attirano tutti i maniaci) e le fa ascoltare una delle sue canzoni reggae preferite (Rivers Of Babylon dei Melodians, "lietmotiv" che sentiremo parecchie volte nel corso della storia) per farla calmare, facendole indossare le cuffie del suo walkman (a cassetta!). Noi non sentiamo la canzone, ma sappiamo che è un pezzo positivo: Connie si commuove sia per il pezzo che presumibilmente per la situazione (Jack che cerca a modo suo di tirarle su il morale). Oppure il tentativo di una "prima volta" con loro due che si confidano su cosa dovrebbe essere una relazione e la vera prima volta, dopo essere fuggiti dall'appartamento degli amici mentre questi stavano litigando. Il tutto scandito da canzoni indie/folk delicate e decisamente appropriate al mood.


Hoffman alla prima regia è riuscito ad essere sensibile e a dare al film una tenerezza che molti altri si scordano: è un peccato che non potremmo mai più vedere un'altra sua opera. 
Molti hanno criticato la pellicola definendola poco incisiva ed insipida, ma personalmente credo che vada bene così. Forse chi ne ha parlato male non sa che ci sono persone che possono sentirsi esattamente come Jack e Connie (o avere gli stessi problemi relazionali). 
La scena finale malinconica lascia un grande punto di domanda sia nel rapporto di amicizia fra le due coppie che sul rapporto di Jack e Connie: non si capisce se durerà, se l'amore è qualcosa di temporaneo e basta. O forse, una lettura non totalmente negativa è che mentre l'amico che dava consigli ma non riusciva ad andare incontro alle esigenze della sua donna o a capire se stesso è rimasto solo, Jack che invece prova a migliorarsi con dedizione può riuscire a tenere in piedi la sua relazione. 


Insomma, ci troviamo di fronte ad una commedia triste, malinconica, con qualche sprazzo di umorismo (come nella vita). Per questi motivi, per la location newyorkese, per i toni usati, per la storia in sè e anche per certe scene (Jack che prepara da mangiare ad esempio), mi ha ricordato “L'appartamento” di Billy Wilder. Paragone un po' esagerato e azzardato ma in qualche modo pertinente. Chi si aspetta un film comico rimarrà deluso (probabilmente è questo che ha spiazzato il pubblico). Chi riesce a leggere tra le righe troverà molto da riflettere e non banale. Da vedere.

 Voto: ***



 


Ecco il trailer (che non rende giustizia al film):




Una delle scene più divertenti:




La playlist:



L'avete visto? Commenti?




(Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata)

Nessun commento:

Posta un commento